A partire dal 2016 le aziende italiane hanno la possibilità di convertire i premi di produzione dei dipendenti – con una tassazione vantaggiosa per le imprese – in servizi, al posto del classico denaro in più in busta paga. Le possibilità sono ovviamente moltissime: si va dalle polizze sanitarie all’asilo nido convenzionato, fino alle soluzioni più originali, come i viaggi premio o le tate on demand, in un pacchetto di possibilità volto a garantire un maggiore benessere ai dipendenti.

Il primo Rapporto Censis-Eudaimon

Ma come la pensano gli italiani? Stando ai dati del primo Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, il 58,7% dei lavoratori è favorevole a trasformare i propri aumenti retributivi in prestazioni di welfare. Secondo loro, dunque, i servizi risultano nettamente più utili dei soldi in più in busta paga. A pensarla in questo modo sono soprattutto i dirigenti aziendali e i quadri (73,6%), i lavoratori con figli fino a 3 anni (68,2%), i laureati (63,5%) e i lavoratori con redditi medio-alti (62,2%). Calano invece le preferenze di questo tipo quando si guarda ai lavoratori esecutivi, agli operai e ai dipendenti con reddito più basso: in questo caso, infatti, le percentuali di chi preferisce l’aumento in busta paga si alzano concretamente.

Il welfare che finisce per favorire i lavoratori con reddito più alto

Come sottolinea il Rapporto Censis-Eudaimon, però, il welfare aziendale così come incentivato dalla normativa italiana  non dovrebbe essere visto come una risposta alla ‘fame’ di reddito dei lavoratori con stipendi medi e bassi. Nel dettaglio, nello studio viene spiegato che «il welfare aziendale è uno strumento indiretto di integrazione dei redditi, ma non può e non deve essere sostitutivo degli incrementi retributivi. L’attuale normativa che premia fiscalmente il welfare aziendale sta avendo il merito di far crescere il settore, ma nel medio periodo rischia l’effetto paradossale di favorire di più i lavoratori con redditi alti e non quelli con redditi più bassi e con maggiori fabbisogni sociali».

Livelli di conoscenza differenti

A differenziare i lavoratori con un reddito più basso da quelli con entrate più alte c’è anche il livello di conoscenza del sistema di welfare aziendale: se è infatti vero che complessivamente solo il 17,9% dei lavoratori ha una conoscenza precisa di questo mondo, e che il 23,6%, invece, non alcuna familiarità con il welfare, è da sottolineare che i livelli di conoscenza minori si incontrano proprio nei dipendenti con livelli più bassi di scolarità (il 47% di quelli con al massimo la licenza media non sa cos’è), in quelli con redditi bassi (44,6%), nei genitori single (40,3%) e infine negli  occupati con mansioni esecutive e manuali (36,7%).

Con il welfare migliora il clima in azienda

Come del resto ci si potrebbe aspettare, l’apprezzamento del welfare aziendale cresce in modo specifico insieme alla sua conoscenza: il 74,4% di chi ne conosce ogni dettaglio si dichiara infatti favorevole, di contro al 43,3% di chi dichiara conoscenze vaghe o nulle. È poi interessante notare che quasi la metà dei lavoratori è convinta che il welfare migliori il clima in azienda; il 16,8%, inoltre, afferma che queste misure possono aumentare la produttività dei lavoratori.